È il primo fine settimana di primavera, ma è previsto brutto tempo. Un amico ti invita a Bologna per una piccola gita. E, così, decidi di provare quel ristorante che da almeno un paio d’anni è segnato in una nota sull’iPhone: Ahimè.
Un concept coraggioso
A pochi passi da piazza Maggiore, in via San Gervasio, sorge questa piccola trattoria urbana. Ahimè non è il classico ristorante gourmet: scordati la mise-en-place d’alta ristorazione, il servizio formale e la carta dei vini enciclopedica. Ad accoglierti, subito dietro il bancone del bar, c’è la cucina a vista, il cuore pulsante del locale, e un arredamento che fonde dettagli urban, come l’acciaio e il cemento, ad altri dall’aria scandinava e netta.
Dimentica pure il classico menu fisso. Da Ahimè i piatti cambiano all’incirca due volte al mese, a seconda della disponibilità dell’orto e dei piccoli produttori da cui il locale si approvvigiona. Questo, come scritto sulla carta, rende impossibile qualunque tipo di variazione.
Il risultato è un’esperienza gastronomica che va oltre il gusto. Ahimè propone una cucina contemporanea, creativa e democratica. I ragazzi in cucina, giovani, spiandola dalle sedute al bancone, danno vita a una brigata dinamica e affabile.
Il menù è una sorpresa continua


Il menù è un percorso da scoprire piatto dopo piatto, pietanza dopo pietanza. Il pranzo, in questo uggioso sabato di fine marzo, inizia con Pane e burro al ginepro. Il lievitato profuma di casa e si presenta con una mollica ben alveolata e leggera e una crosta croccante, che ricorda i pani di una volta. In accompagnamento arriva l’Insalata di verza, mizuna, broccoli, uovo e nocciole. La verza è protagonista di questo piatto, sapida e cruda, la cui acidità, data dal condimento, è smorzata dall’uovo sodo adagiatovi sopra. Da vero appassionato di primi piatti, non potevo farmi sfuggire gli Gnocchi di patate, animelle, pere e cardamomo: la morbidezza degli gnocchi è esaltata dal sapore delicato del quinto quarto e da quello avvolgente delle pere; il cardamomo è, sì, presente, ma non intacca l’armonia del piatto. Infine, è il turno di un dolce-non-troppo-dolce: Cavolfiore, cioccolato bianco, latte, capperi e salvia. Non c’è modo migliore per terminare questo pasto. Quest’ultimo piatto combina la dolcezza del latte cotto, quasi un mou, con la delicata croccantezza del cavolfiore bianco e il sapore sapido e penetrante dei capperi.
Tutto è presentato con un’estetica minimale ma curata, dove ogni elemento ha un senso e una propria funzione. Niente guarnizioni inutili, niente elementi posti solo per dare colore o vivacità. Tutto è come descritto nel menù. E, soprattutto, tutto ha un gusto intenso, vivo (forse, a volte, anche troppo umami), ma che racconta la storia delle stagioni e delle materie prime impiegate.
Il servizio è mondano, ma preciso e puntuale. L’attesa tra un piatto e l’altro si fa sentire, ma non per i tempi, bensì per la voglia di assaggiare il piatto che verrà, di vedere come dalla cucina sapranno stimolare i sensi, di restare ammaliato dalla bellezza delle pietanze.
Un’esperienza bolognese che lascia il segno
Ahimè è un’esperienza. Rara, per la precisione. Il ristorante plastic-free è per chi ama farsi sorprendere, per chi vuole ancora emozionarsi grazie al cibo. È per chi vuole sentirsi coccolato, ma senza troppe smancerie. È per chi vuole scoprire combinazioni atipiche lontane dalla tradizione. È per chi sente la necessità di fuggire dal tran-tran cittadino – Bologna va sempre più di fretta – e concedersi un pasto lento e rilassato.
Un consiglio? Prenota per tempo: Ahimè e la sua Stella Verde MICHELIN non sono più uno dei segreti di Bologna.