Oggi vi portiamo al ristorante L’Acciuga, primo ristorante a Perugia, Umbria, ad aver ricevuto l’ambita Stella Michelin. Cari Food Lovers, se avete in programma una vacanza tra le colline e i borghi umbri dove fare tappa all’Acciuga e provare l’idea di cucina di chef Marco Lagrimino.
Abbiamo intervistato per voi lo chef: 36 anni, esperienze all’estero tra Londra e Cipro, successi in Italia con il suo ristorante Momio e poi la Stella Michelin. Qual è il segreto per emergere rimanendo fedeli a sé stessi e alla propria idea di cucina? Scopriamolo in questa intervista.
Grazie chef Lagrimino per essere qui con noi di Assaporami Food Lovers. Come è iniziato il suo percorso da chef?
Ho fatto la scuola alberghiera a Viterbo e mi sono formato in diversi ristoranti e trattorie di Orvieto che si dedicavano anche a eventi e banchetto. All’età di 24 anni con mia moglie, Nadia Moller,mi sono poi trasferito a Londra. Qui ho avuto modo di lavorare per realtà più complesse, con brigate grandi e strutturate. Ho potuto quindi toccare con mano un’idea di ristorazione che andava oltre a quella a cui ero abituato. Infine, sono andato a Limassol, a Cipro, dove ho fatto la stagione e poi ho lavorato come capo chef di un nuovo ristorante, per un anno. Ho deciso poi di tornare in Italia per dare una direzione precisa alla mia carriera di chef.
Come mai è tornato di nuovo in Umbria?
Quasi per caso, direi: a volte la vita va così. Bisogna saper cogliere le buone opportunità. Una volta rientrati in Italia, io e Nadia siamo stati quattro anni a Firenze dove, nel 2017, abbiamo aperto il nostro primo ristorante, il Momio. Dopo quasi due anni, per vari motivi, abbiamo concluso questa esperienza e ci siamo spostati nel Chianti. Con la pandemia sono cambiate diverse cose e alla fine siamo arrivati a Perugia e all’Acciuga. Il titolare è una persona che sposa il mio stesso approccio di innovazione e rispetto della materia prima in cucina, quindi ci siamo trovati.
Lei ha avuto molte esperienze in territori internazionali e all’avanguardia: cosa significa proporre un menù che merita una Stella Michelin in una realtà come quella umbra, notoriamente più tradizionale?
Non è stato immediato, ma nemmeno così difficile come può sembrare da fuori. Il territorio umbro sta avendo un bel fermento. Non ci sono molti ristoranti che propongono un’idea di cucina innovativa, non tanti quanti in altri territori. A Milano, per esempio, è molto più difficile far emergere un ristorante come L’Acciuga, perché c’è più competizione. In Umbria la sfida è educare il cliente a capire la nostra proposta.
Come è cambiato L’Acciuga con il suo arrivo e la successiva conquista della Stella Michelin?
Grazie alla visione del titolare abbiamo iniziato a lavorare per portare il ristorante a un livello superiore rispetto all’essere un semplice ristorante di pesce. L’intento è stato proprio quello di creare qualcosa di interessante a Perugia: il legame con il territorio è importante per la nostra idea di cucina. Ora che abbiamo vinto la Stella, arrivano molti clienti diversi: c’è chi vuole sperimentare la nostra idea di cucina, chi provare l’esperienza di una cena stellata per la prima volta, chi è affezionato al ristorante. Chi viene da noi trova un servizio accogliente, affabile, ma non “ingessato”. Ci riteniamo più “popolari” rispetto ad altri ristoranti stellati e di certo non vogliamo tradire la nostra natura. Di certo la Stella ha portato poi molti clienti: il ristorante ora è sempre pieno e lavorare per una sala al completo è più motivante, ovviamente. Soprattutto dopo questi due anni di pandemia, in cui il settore della ristorazione ha sofferto tanto.
Certo, il settore della ristorazione ha sofferto e sta ancora soffrendo. Secondo lei la comunicazione può avere un ruolo chiave per risollevarsi dalla crisi?
In questi anni di lavoro ho imparato che non importa quante cose fai o quanto sperimenti se poi non trovi il modo corretto di comunicarlo. Anche nei periodi di crisi investire nella comunicazione ha sempre un ritorno, purché lo si faccia in modo coerente alla propria attività, con struttura e visione. Non siamo più negli anni Cinquanta, quando solo dieci ristoranti proponevano innovazione in cucina. C’è molta più concorrenza e occorre lavorare anche di comunicazione per emergere.
Tornando alla vittoria della Stella, qual è stata l’emozione quando avete scoperto di aver vinto il premio?
Siamo stati felicissimi, perché proprio non ce l’aspettavamo. Noi non abbiamo lavorato con l’obiettivo di vincere la Stella Michelin. Il nostro scopo è proporre al cliente una proposta buona e nuova, con ottime materie prime, in un ristorante piacevole e con un servizio alla mano e professionale. Questa vittoria è importante perché conferma che stiamo andando nella giusta direzione. Sono felice di aver preso la Stella, è un grande riconoscimento, ma non lavoro solo per questo.
E per cosa lavora?
Lavoro per fare per servire i clienti, per fare buon cibo, per una mia personale soddisfazione nel vedere il cliente soddisfatto quando mangia i piatti cucinati dalla mia cucina, vedere che sta bene nel ristorante e che torna, perché affezionato alla mia cucina. Per me è questo lo scopo principale.
Cos’è che rende speciale L’Acciuga? Qual è l’ingrediente che vi ha fatto vincere la Stella?
La nostra filosofia di cucina si basa sulla ricerca della materia prima. Cerchiamo ingredienti buoni che siano prodotti e coltivati da persone che hanno una visione e una storia con sé. Lavoriamo con produttori e persone che, come me, credono in quello che fanno e portano avanti il loro lavoro con passione e capacità. Invece, per la creazione dei piatti seguo un approccio astratto: seleziono gli ingredienti che mi interessano, che in qualche modo mi stuzzicano, e da qui costruisco il piatto, un po’ alla volta. Cerco combinazioni di sapori, di consistenze. Diciamo che faccio poco riferimento alla nonna. Povere nonne: sono state spremute fino all’ultimo (ride, NdR).
All’Acciuga c’è anche una grande cura degli arredi e del servizio. Cosa vi rende diversi da questo punto di vista? Come si compensano sala e cucina?
Della sala si occupa il titolare, dai vini all’arredamento. È appassionato di design, in particolare di lampade: partecipa e fiere ed eventi di settore per trovare i giusti pezzi che rispecchiano il concept dell’Acciuga. La direttrice di sala è Nadia Moller, mia moglie. Lavoriamo insieme da diversi anni e ci siamo formati insieme in Inghilterra, dove ha potuto apprendere il mestiere in contesti eleganti, con maestri di riferimento. Porta avanti la sua idea di servizio più amichevole e non impostato, senza rinunciare alla professionalità. La sala è sicuramente il 50% di un ristorante, ma ultimamente in Italia questo aspetto è andato un po’ a perdersi. Ci si concentra molto sulla cucina e sugli chef, perdendo quella professionalità nel servizio che ha contribuito a rendere famosa la ristorazione italiana nel mondo.
C’è un piatto o un ingrediente a cui è particolarmente affezionato?
Il riso e rafano, creato a Firenze ed è quello che mi ha un po’ lanciato la mia idea di cucina. Si tratta di un risotto cotto con una centrifuga di sedano che, in mantecatura, viene finito con rafano, burro affumicato, burro acido e una polvere di Levistico essiccato. È un piatto a cui sono veramente affezionato: l’ho messo in carta qui all’Acciuga perché alcuni clienti sono venuti da Firenze per poterlo mangiare.
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