Osteria Tripoli, la rinascita di un locale storico

osteria tripoli arsiero

Un tempo il Tripoli era un’istituzione ad Arsiero, in provincia di Vicenza. Un bar di piazza, di quelli storici dove bere un caffè corretto, magari dopo una passeggiata sulla neve a Tonezza del Cimone. Oggi il Tripoli, diventato Osteria con la nuova gestione, adotta una formula diversa.

Entrando si ha la sensazione di un locale che potrebbe benissimo stare in una via di Milano o di un qualsiasi centro città, non certo in un paesino di provincia incastonato tra due valli nella pedemontana vicentina.

L’atmosfera e il servizio

Innanzitutto, gli ambienti rinnovati. Comodi divani di pelle qua e là danno l’idea della filosofia più urbana che connota il locale. Le pareti bianche e le travi a vista in legno al naturale, appoggiate alle putrelle color canna di fucile, invece danno un piacevole sentore della montagna ai cui piedi si appoggia il paese e al contempo fanno comprendere l’impegno profuso per ammodernare gli ambienti fin dalla progettazione. Calda l’illuminazione, spesso tendente al giallo.

All’ingresso si trova la sala che funge da bar, con il lungo bancone e i tavolini per gli aperitivi. Proseguendo si arriva alla sala del ristorante, ampia e decorata a tutta parete da un’imponente esposizione di vini. Perché sì, al Tripoli si beve e si mangia, motivo per cui Assaporami è qui in incognito.

Nota di merito al personale, sempre cortese e che dimostra una piacevole competenza sia per quanto riguarda la parte bar che sui piatti a menù.

Il menù dell’Osteria Tripoli

La base su cui è costruito il menù è senza ombra di dubbio la tradizione della cucina vicentina: baccalà, bigoli co’ l’arna, gnocchi con la fioreta. A fare la differenza è l’uso di tecniche più moderne, dove a fare la voce grossa è la cottura a bassa temperatura. Ne è un esempio l’uovo presente tra gli antipasti. La sensazione, però, è che molti altri ingredienti siano stati trattati in CBT, metodo che – se ben implementato – permette di ottenere ottime consistenze, velocità nella fase di preparazione finale dei piatti e una migliore standardizzazione qualitativa. Il risultato è molto buono, seppur ancora da migliorare in alcuni passaggi.

Da segnalare l’ottima selezione di vini, in particolare di cantine locali. Piace il coraggio nel proporre anche quelli che si distinguono per caratteristiche particolari o tecniche di produzione meno tradizionali.

La nostra esperienza

Piacevole il benvenuto della cucina: una fettina di salmone marinato servita insieme a pagnottelle di vario tipo con burro montato all’aglio ed erbe aromatiche. Passando agli antipasti la soddisfazione è stata unanime.

Partiamo dal piatto più semplice, ma che può essere insidioso: la tartare. La quantità è più che discreta per un antipasto, il bilanciamento del condimento non presenta difetti, giusta la quantità di sale e la materia prima è di qualità, con la giusta percentuale di massa magra e grassa. La grana è piuttosto grossa, quasi dei mini bocconcini assemblati col ring. Deve piacere questo tipo di consistenza.

Con il baccalà mantecato e la polenta si va sempre sul sicuro. Due generose quenelle sono una quantità adeguata per un antipasto, con un’ottima cremosità che ben si sposa con la croccantezza della polenta bianca fritta. Un piatto con cui si va sul sicuro.

Stupiscono in positivo gli altri due piatti. L’uovo cotto in bassa temperatura rasenta la perfezione (peccato per la consistenza un filino troppo lasca, ma è proprio per cercare il pelo nell’uovo).

Deliziosi i calamaretti con purea di fagioli e gazpacho: il menu non lo dice, ma il sospetto è che anche questi siano stati trattati in CBT data la morbidezza fondente che li contraddistingue. Favolosa la maillard, che dona una nota croccante e profumatissima, soprattutto ai ciuffi. Azzeccato l’abbinamento con i fagioli e il gazpacho, comprese le consistenze: tutto si fonde insieme, ogni ingrediente esalta gli altri. Si tratta forse del miglior piatto della giornata.

Passiamo ai primi

Senza infamia e senza lode i bigoli co’ l’arna. Capiamoci, si fanno mangiare molto volentieri ma la pasta non sembra venire da un torchio a mano, quanto al massimo da una macchina per la pasta. Il bigolo è lievemente più sottile del normale e la superficie un po’ troppo liscia lascia scivolare via un sugo che non si contraddistingue per guizzi di genio. È fatto con il macinato, non con l’anatra spolpata come vorrebbe la tradizione, e la presenza di fegatini è quasi inavvertibile (il che, per alcuni, può essere positivo). Al palato però convince e la quantità è adeguata. Considerando il prezzo va benissimo così, nessuno si aspetta dei bigoli tradizionali alla thienese per nove euro.

Gli gnocchi con la fioreta sono serviti con ricotta salata (fosse stata affumicata avrebbe dato un po’ più di personalità al piatto, già molto delicato). Qui c’è un problema di consistenza troppo “gnuccosa”, per usare un termine non tecnico: al morso ricordano per certi versi uno gnocco di riso, con quella tenacia tipica, e non la scioglievolezza della fioreta. Nulla di irrisolvibile, probabilmente c’è da calibrare meglio farina e tempo di cottura.

Grande soddisfazione per la versione alla zucca del plin servito dal Tripoli. La sfoglia è perfetta, né troppo sottile né troppo spessa, e il ripieno è molto convincente. A far ballare le papille gustative è soprattutto la salsa di pancetta che accompagna la pasta ripiena: non un sugo con pancetta, bensì una riduzione cremosa. Anche qui c’è forse lo zampino della CBT, e un’ispirazione neanche troppo velata alle preparazioni dello chef Marco Pirotta, uno dei divulgatori più di vecchia data della cottura a bassa temperatura, noto per le sue tecniche di estrazione.

Passiamo ai secondi

Anche sulla tagliata si conferma la buona qualità del manzo presente in cucina. Il taglio scelto è stato ben trimmato e cotto alla perfezione, nel pieno rispetto del grado di cottura desiderato da ogni singolo commensale, e richiesto (cosa niente affatto scontata) dalla gentilissima e molto preparata cameriera.

In Italia – infatti – in genere c’è un astio che rasenta l’integralismo in merito al grado di cottura della carne. Molti cuochi si rifiutano di cuocere secondo i desideri dei clienti, o – cosa molto peggiore – rifilano pezzi di carne di minore qualità a chi la desidera ben cotta, nella convinzione che il cliente non sia in grado di percepire la differenza, secondo la filosofia del “tanto viene dura lo stesso” (ma facendola pagare allo stesso prezzo). Non è così: un cuoco che sa il fatto suo – e magari ha girato un po’ il mondo mettendo da parte certi atteggiamenti da grigliatore amatoriale – è perfettamente in grado di garantire a quel commensale un’esperienza pari agli altri gradi di cottura (gusto personale permettendo, ovviamente).

Purtroppo molti locali specializzati nella carne dell’alto vicentino, anche tra i più rinomati, non hanno la capacità tecnica per farlo, motivo per cui la bistecca ben cotta è sempre un test molto efficace per scremare gli chef veri da quelli mediocri: l’Osteria Tripoli l’ha superato a mani basse, portando in tavola – oltre agli altri gradi di cottura – anche una tagliata ben cotta, perfetta nell’esecuzione e servita senza mai storcere il naso.

Ben fatto.

Purtroppo la stessa qualità non c’è sulla tagliata di tonno. Più che tagliata, sono dei pezzettini cotti separatamente e non un unico pezzo porzionato post cottura. Cottura che presenta qualche problema: la carne da l’impressione di essere un po’ oltre la cottura media, ma non ha né il colore né la consistenza tipica del tonno cotto, più tenace e filaccioso di quello crudo. La sensazione è che anche qui ci sia stato un passaggio nel roner ma che è scappato di mano. Il risultato è un ibrido: la tenerezza c’è, ma pure un eccesso di cottura. La crema di zucchine di accompagnamento dice poco. Un kick speziato avrebbe potuto svoltare il risultato, anche solo un pizzico di zenzero fresco.

Bello il Monte Bianco con cui chiudiamo il pasto. Peccato che le sue qualità finiscano lì: dura la meringa, scialba la crema di castagne e cacao. La panna montata che sta sopra, beh, è panna montata. Peccato.

Il conto

Quando si va in cassa non ci sono brutte sorprese, anzi. Considerata la qualità media di quanto abbiamo mangiato, e che a testa abbiamo consumato aperitivo con tagliere, antipasto, primo, secondo, dolce, caffè (più alcune grappe) e parecchie bottiglie di vino di buona qualità ordinate senza controllare più di tanto il prezzo, uscire con una spesa di 56 euro a testa è al di sotto di quanto avevamo stimato. L’amaro offerto, poi, aggiunge un sorriso in più.

Considerando il costo dei singoli piatti, il rapporto prezzo/qualità è più che adeguato. Un bel punto a favore per l’Osteria Tripoli.

Tiriamo le somme sulla nostra esperienza all’Osteria Tripoli

La nuova gestione dell’Osteria Tripoli è al lavoro da solo un anno e il livello è già alto. Piace la curiosità dello chef di voler reinterpretare la tradizione con tecniche più moderne, pur senza andare all’eccesso. Il che è un bene, considerando che c’è molto margine di miglioramento.

Uscendo viene da pensare a che un locale del genere starebbe dannatamente bene a Schio o a Thiene, più che ad Arsiero. Tuttavia, è un’ottima scusa per una bella passeggiata nella valle dell’Astico, nella val Posina o sull’altopiano di Tonezza del Cimone.

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Classe '83, nato e cresciuto nel profondo nordest. Scrivo, tanto, di tutto. E cucino, tanto, di tutto. Sono dannatamente curioso, sempre alla frenetica ricerca di nuove tecniche da testare. Amo la tradizione, soprattutto quando viene stravolta: non c'è innovazione senza contaminazione.