Cucina povera, gusto ricco: le patate farcite di Poormanger a Torino

poormanger

Cosa significa poormanger? Se ci affidiamo all’orecchio, suona familiare: ci sembra “per mangiare”. Ma se facciamo caso alla grafia, e mastichiamo un po’ di inglese, ecco che quel “poor” cambia tutto: significa allora “mangiare povero”.

La risposta giusta, però, è molto più semplice. Sì, perché se siete stati a Torino sapete che, da dodici anni a questa parte, Poormanger vuol dire una cosa sola: patate farcite. E questo da quando tre amici torinesi hanno deciso di importare in Italia la ricetta della celebre jacked potato da oltre la Manica per farne il fondamento di una cucina popolare che è povera solo per modo di dire. Oggi Poormanger conta cinque ristoranti tra Torino e Milano, l’ultimo dei quali aperto lo scorso marzo, e serve ogni settimana più di 3 tonnellate di patate.Assaporami ha visitato per voi uno dei Poormanger del capoluogo piemontese, per la precisione la seconda delle tre sedi, che si trova al 26/B di via Palazzo di Città. Seguiteci per scoprire i segreti di una cucina povera, ma veramente ricca di gusto.

A due passi da Piazza Castello

In una città grande come Torino, in cui il reticolato geometrico delle vie del centro contribuisce allo spaesamento, le possibilità che si offrono a un Food Lover sono quasi da capogiro. Fortunatamente, non c’è tanto da tentennare quando hai chi sa consigliarti. In questo caso, si tratta di un amico del posto – veneto d’origine, ma torinese d’adozione – che, oltre a farmi da guida tra i monumenti, sa fin da subito qual è il posto giusto dove pranzare. Sì, perché è facile: se passi da Torino, non puoi non provare Poormanger. Ed è anche molto comodo: da piazza Castello, cuore della capitale sabauda, bastano solo quattro passi sotto un porticato alto e accogliente per raggiungere la seconda sede di Poormanger, che fa angolo con piazza Palazzo di Città, su cui si affaccia il municipio.

Dentro un palazzo del Settecento

Arriviamo poco dopo l’una, durante una domenica piovosa, e devo dire la verità, vedere la coda snodarsi da entrambi i lati della porta del ristorante mi spaventa un po’. Nei Poormanger di Torino, infatti, non è previsto il servizio di prenotazione, e vale il famoso detto del “chi prima arriva meglio alloggia”. Ma basta un attimo per accorgersi che la fila scorre veloce. Una delle cameriere ci accoglie e segna il nostro nome su una lista d’attesa: cinque minuti e avremo il nostro tavolo.

Nel frattempo, ho modo di guardarmi attorno: sotto il portico, il selciato è occupato da una trentina di tavolini colorati, tutti occupati. Alle nostre spalle, le grandi vetrate del ristorante permettono di sbirciare all’interno. Il palazzo in cui si trova Poormanger è un edificio del Settecento, con i soffitti a volta, qua e là dipinti di turchese. Lo stile è sobriamente vintage: divanetti verdi accostati alle pareti, tavolini in legno, carta da parati con motivi floreali e mobili degli anni Cinquanta. Nessun ninnolo in eccesso, lo spazio è riempito dal brusio vivace dei commensali. Da quello e dalla stretta scala a chiocciola di ferro che porta al primo piano, naturalmente.

antipasto

Una tavola spartana

In un attimo è il nostro turno: la cameriera ci indica un tavolo al piano di sopra. Entrando, sorpassiamo alla nostra destra il bancone della cucina, dove i cuochi lavorano in piena vista.

Quando ci accomodiamo, la tavola è già apparecchiata. La mise en place è spartana. In accordo con gli stilemi della ristorazione popolare, al posto della tovaglia ognuno ha la sua tovaglietta di carta paglia, su cui è stampato il menù. Niente plastica: il vino della casa viene servito in caraffe di vetro, come anche l’acqua. Al massimo, accanto al piatto – che poi è una piccola gamella di latta bianca dal bordo blu – può fare la sua comparsa una lattina di Molecola, la famosa cola torinese.

Tra tradizione e stagionalità

Ora possiamo studiare il menù. Poormanger offre una proposta stagionale: come mi spiega il mio amico, alcuni piatti escono ed entrano nel menù a seconda del periodo dell’anno. Un’altra garanzia, oltre a quella di prodotti semplici ma di prima qualità, è la presenza di opzioni vegetariane e vegane.Scorrendo gli antipasti, oltre a tipicità piemontesi come il vitello tonnato, saltano agli occhi l’hummus di ceci e sesamo e la parmigiana di melanzane. Optiamo per un antipasto Selezione del Piemonte, un tagliere con acciughe al verde – ossia una salsina a base di prezzemolo e aglio sminuzzati –, tomino e salsiccia cruda con scaglie di grana. Tra le ciotole, c’è anche un bicchierino di burro da spalmare sul pane che fa parte del coperto. Una delizia!

Infine, le patate di Poormanger

Mangiamo di gusto, ma senza ingozzarci. Non bisogna perdere di vista l’obiettivo, che sono le tanto sospirate patate farcite. E sappiamo che ne è valsa la pena nel momento stesso in cui ci vengono servite: nella loro gamella appaiono sontuose, traboccanti della loro farcitura, ancora fumanti. 

Da Poormanger sono scelte solo le più farinose tra le patate con la polpa gialla. Vengono cotte in forno a gas, incise e infine mantecate con sale e olio extravergine ligure. Le possibili farciture sono una più gustosa dell’altra: dalla variante bolognese con mortadella, stracciatella e pistacchi a quella calabrese con ’nduja e scarola, da quella con seppie in umido e piselli a quella con polpette intere e pomodoro. Tra gli ingredienti spiccano friggitelli, salsiccia cruda, gorgonzola, uvetta e pinoli, gorgonzola. L’occhio corre avanti e indietro sul menù, ed è quasi impossibile scegliere. Meglio tenersi leggeri e scegliere una farcitura a base di verdure miste, o lasciarsi tentare dalla patata alla carbonara?

Alla fine opto per una cacio e pepe con guanciale e crema di fave. La forchetta affonda che è una meraviglia. La polpa della patata è ben cotta all’interno, e non è scontato, quando si parla di patate così grandi. La consistenza è omogenea, i vari ingredienti si impastano in bocca e ogni boccone è un piacere. Arrivata alla fine, e dopo aver ben raschiato la buccia all’interno per non lasciare nemmeno una briciola, sono sazia e soddisfatta. Ho un solo rimpianto: quello di non aver mangiato anche la buccia, che ho scoperto solo in seguito essere perfettamente commestibile.

L’esperienza da Poormanger

Poormanger è il risultato di un’intuizione semplice, realizzata alla perfezione. Il suo vanto è aver saputo concretizzare un’idea di ristorazione che si costruisce su mediazioni: quella tra una ricetta inglese e le nostre specialità regionali, quella tra una cucina povera e semplice e una ricchezza di gusto che sta tutta negli ingredienti, quella tra un pasto che sazia e un costo contenuto. Non compromesso, ma mediazione, perché riesce a non rinunciare a nulla e a offrire tutto quello che il largo pubblico dei suoi avventori ha dimostrato di cercare. E il mio bilancio? Direi che mi toccherà sicuramente tornare a Torino: ho altre jacked potatoes da assaggiare.

Se volete anche voi conoscere Poormanger e la loro storia, visitate il loro profilo Instagram e Facebook.

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Costruisce aspettativa dal 1993. Tra le nebbie di Rovigo e i portici di Bologna, ho studiato F.S. Fitzgerald e C.G. Jung, letto classici, scritto racconti mai letti. Attualmente lavora nel campo delle preoccupazioni, colleziona libri e saltuariamente si concede un drink. Sushi > pizza.